Il pignoramento dei conti della Fondazione Nazionale Carlo Collodi, deciso dal Comune di Pescia, non è più notizia fresca. Ma continua a pesare. Resta lì, in bilico tra diritto e opportunità, tra esigenze amministrative e responsabilità culturali, tra danni d’immagine e futuro incerto.
La Fondazione, che da sempre gestisce il Parco di Pinocchio e il Giardino Storico di Villa Garzoni, ha accumulato un debito Tari risalente al 2013. Un accordo di rateizzazione firmato nel 2024 è stato rispettato solo in parte. Dopo ripetuti solleciti, è arrivato il pignoramento: un atto legittimo, ma con conseguenze pesanti per un’istituzione già fragile, e proprio a ridosso dell’evento “Senza Fili” giunto alla sua decima edizione.
Il presidente Francesco Bernacchi, in carica dal 2004, sentito dalle TV locali, ha richiamato le difficoltà degli ultimi anni: pandemia, crollo dei visitatori, isolamento viario causato dalla chiusura del ponte dell’Abate. Ma la vera domanda resta: cosa è stato fatto, in vent’anni, per trasformare davvero Pinocchio e Collodi in quella locomotiva culturale tanto evocata da politici di ogni ordine e colore, passati da Collodi nei convegni, nelle passerelle, come nei comunicati?
Nel tempo si sono susseguiti progetti e imprenditori: gli Incerpi, Preziosi, gruppi alberghieri, oggi il gruppo Costa. La cittadinanza ha visto più annunci che risultati e una governance spesso opaca, forse distratta da grandi visioni, con una struttura finanziaria aggrovigliata in partecipate difficili da decifrare anche per gli addetti ai lavori.
A ciò si aggiunge il nodo mai sciolto delle industrie cartarie: tra Villa Basilica e Pescia, a ridosso di Collodi, si concentra una parte importante del tessuto produttivo lucchese e pesciatino. Le cartiere portano occupazione, ma pongono sfide ambientali, logistiche, urbanistiche. E acuiscono quella condizione geografica ambigua che vede Collodi formalmente in provincia di Pistoia, ma incuneata tra due territori, due modelli di sviluppo, due velocità amministrative.
Eppure, in questa terra di mezzo, esiste una risorsa rara: la bellezza. Quella autentica, profonda, che studiosi come Maria Adriana Giusti e Mariella Zoppi sanno raccontare con lucidità e passione. Il sistema Collodi-Garzoni non è solo un’attrazione turistica: è un laboratorio di storia, arte, paesaggio, che avrebbe bisogno di una regia pubblica seria, competente, coraggiosa.
E qualcosa, malgrado tutto, si muove. Dal 22 al 24 agosto 2025, anche quest’anno, Collodi ospiterà “Senza Fili”, una kermesse di artisti di strada, giunta alla decima edizione, nel paese del burattino più famoso del mondo. Senza Fili non è folklore da vetrina. E, se inizialmente la Fondazione lo guardava con sospetto — perché estraneo ai suoi schemi — oggi ne è patrocinante. Senza Fili, non può certo bastare da solo come modello culturale, ma rappresenta un segnale: un’alternativa sostenibile, economicamente e ambientalmente, capace di ricollegare territorio e turismo. Forse l’unico momento in cui la comunità si riappropria, anche solo per tre giorni, del proprio patrimonio simbolico. Un piccolo segnale, ma concreto, che un’altra strada è ancora possibile.
Come la vedo io, Pinocchio è una storia contemporanea che porta con sé un insegnamento centrale: “le bugie più pericolose sono quelle che raccontiamo a noi stessi.”
Certo, è il colmo che i padroni di casa di Collodi e Pinocchio non abbiano imparato nulla da questa storia, perché la trasformazione finale in bambino vero arriva solo quando Pinocchio smette di mentire, smette di ingannare sé stesso — quando si assume le proprie responsabilità.
Chissà che questo pignoramento non sia, per l’amministrazione pesciatina, il modo per iniziare a contare qualcosa — e dettare finalmente la linea di Collodi, paese famoso nel mondo.
Andrea Vitali